Una chiamata da Porto

Porto, quanti tesori in questa città di mare. 
Porto è stata la mia tappa in Europa sulla via di ritorno verso l’America. Era una città che aspettavo da circa quattro anni: uno dei tantissimi voli cancellati per il primo lock-down, Primavera 2020. Arrivata ad un punto dove aspettare non è un’opzione, ed essendo una tappa pressoché obbligatoria per tornare in California ad un prezzo sostenibile, ho passato due giornate per conto mio in una piovosa Porto, riscoprendo i piaceri del Portogallo. Per l`occasione, avevo una guida cartacea veramente unica, realizzata per me anni fa, fatta di foto e prospettive, una autentica caccia ai tesori di questa città. 

Porto ha tutte le caratteristiche di una città a grandezza di turisti, con le sue vie dello shopping, monumenti sparsi raggiungibili a piedi, buonissimi ristoranti, più un sistema di trasporti che, scalato opportunamente, è del tutto comparabile con l'efficienza che ho sperimentato a Parigi o a Barcellona. Ma tiene, stretti fortissimo, la sua anima e i suoi talenti. La città è famosa per gli Azulejos, di cui una delle massime espressioni locali è la facciata della Cappella delle Anime. Appare quasi inaspettatamente tra Rua de Fernandes Tomas e Rua de Santa Catarina, con quella sua bellezza “dolce” che, personalmente, attribuirei all’arte come l’ho sentita su tutta Porto.
Altra Chiesa che ho avuto modo di trovare aperta è quella di San Cosimo, cosi come la chiesa dei Clerici con il relativo campanile, simbolo della città. Nel mio caso, tuttavia, un’acquazzone ha accompagnato la mia salita sul campanile. Esperienza che, decisamente, non raccomando. Da ripetersi in una giornata senza pioggia o, quantomeno, con meno vento. In tutte queste chiese, sono rimasta colpita dall'uso dell’edificio, che era essenzialmente una dimora su più piani, che sia una casa "nascosta" come nel caso della Cappella delle Anime, o più simile a una piccola reggia, come nel caso della Chiesa dei Chierici, o quella di San Cosimo. I sacerdoti potevano in queste non solo vivere, ma anche ricevere illustri ospiti, ricordandoci quanto la Chiesa sia soprattutto un organo politico, che trascende i confini tra stati, più che una casa di fede.
Il centro di Porto offre tante piccole scoperte. Dal Mercato di Bolhao, un sogno ad occhi aperti per chi vive negli Stati Uniti,  alla libreria Lello. Assaltata dai turisti, è decisamente valsa la sfida alla mia misantropia. Avrei solo voluto che odorasse più di libro ma no, nulla potrebbe guastare la bellezza del rosso di quelle scale, come la sensazione di sfiorare il legno del corrimano. Mi sono premiata con una guida del Portogallo: ora dovrò assolutamente farci quel on-the-road.
Sempre a pochi passi dalla libreria, all’ombra della Chiesa dei Clerici, il giardino di Cordoaria è un frammento di smeraldo nelle vie di Porto, al momento della mia passeggiata visitato da un gruppo di scout. Qui ho trovato due alberi nati dallo stesso ceppo, intrecciati in un’unica chioma. Si camminano attorno, si studiano, si accompagnano, danzano, ma fioriscono separatamente, pur sostenendosi a vicenda. Non so nulla, assolutamente nulla, di botanica. Ma qualcosa delle persone e, soprattutto, di me, forse, la sto capendo. 
E voi? A chi pensate, guardando questi due?
A due passi dal Majestic Cafè, altra perla di Porto e grande esempio di Art Nouveau, altri Azulejos ti chiamano, direttamente della chiesa di Sant’ Ildefonso. Qui Porto ha offerto un secondo assaggio dei suoi talenti: dopo gli Azulejos, ho potuto cominciare a scoprire qui l’arte della “talha dourada”, essenzialmente legno intarsiato e successivamente dipinto in oro. Nella sua semplicità dei materiali qui a Porto ho scoperto quanto la ricchezza, l’eccesso del Barocco, abbia trovato in questa specifica tecnica l’espressione che ad oggi ho preferito. L’altare qui è solo un assaggio: cosa si possa fare veramente con la talha dourada, ho avuto modo di vederlo solo nel tardo pomeriggio, quando mi sono avventurata sul lungo fiume, nella Chiesa di San Francesco. Ad un primo sguardo, la chiesa di San Francesco, dalle colonne, all'altare, gli stipiti, sembra rivestita in oro. Avvicinandosi, si nota che si tratta di legno. La maestria con la quale è stato intarsiato, tuttavia, garantisco, non lo rende meno meraviglioso o prezioso. E, niente, fiato mozzato.
La sera, l'arte del legno l'ho ritrovata ad un concerto di Fado, in un negozio storico di chitarre. Il Fado è un canto portoghese, caratterizzato da una potente voce, una chitarra classica e, ovviamente, la chitarra portoghese. Sto attualmente imparando a suonare la chitarra classica per cui i miei occhi si sono divorati queste cetre del secolo corrente, con le loro dodici corde. Il cantante decide cosa cantare, in base all'umore. Almeno, cosi la vendono, e non posso non apprezzare il romanticismo della figura dell'artista che canta quanto sente, accompagnato dalle fenomenali corde della penisola iberica. Il concerto è durato un’ ora, con un intermezzo di un calice di ottimo vino Porto, che ho ovviamente apprezzato (rosso).
Il fado fa viaggiare tanto e no, il vino non ha fatto buona parte del lavoro, in questo caso. La potenza della voce bussa direttamente all’altezza del petto e chiede, bella diretta: cosa ti manca? Di cosa hai nostalgia? Cosa hai perduto? E le corde, un pizzico dopo l’altra, ti accompagnano lungo vite passate, lontanissime, irraggiungibili, eppure tanto vivide, a distanza di anni, pellicole che scorrono davanti a due occhi che hanno imparato a viaggiare nel tempo, senza portarsi il resto con sé. 

Me la fanno un po` anche i fiumi, la serenata dolce-amara di nostalgia. Non il mare, proprio i fiumi. Le città attraversate da un fiume, nello specifico. Diversamente dal mio solito, a Porto mi sono concessa il tour lungo il fiume, nello specifico lungo i suoi sei ponti. Qui ho visto i barcos rabelos, le barche tradizionali di Porto, senza chiglia, fondo largo, tradizionalmente usate per trasportare le botti di vino Porto lungo il fiume Douro. Il fiume offre un panorama unico sui colori di Porto e della Ribeira, nello specifico. Colori vivaci, si sorride solo a guardarle, quelle casette sul fiume. Dal Douro si apprezza anche la cinta muraria, una spina dorsale che cala ripida sul fiume, come la varietà degli stili architettonici che offrono i sei ponti. Due, in particolare, colpiscono per il loro aspetto familiare: il ponte Luigi I e il ponte Maria Pia. Eccoli qui. Che vi ricordano?
E, sì. Proprio lui. Gustave Eiffel, il genio della torre a Parigi è anche l’architetto del ponte Maria Pia, mentre il suo allievo Théophile Seyrig è la testa dietro al ponte Luigi I. Mentre il ponte Maria Pia è usato per il tram, il ponte Luigi I è attraversabile anche a piedi su due livelli, e vi accoglie nell’istante in cui dal centro calate giù, verso la Ribeira. A quanto pare, mentre a Parigi ci si ama all’ombra della Tour Eiffel nei Champs de Mars, qui a Porto ci si siede alla Ribeira, si ascolta il fiume e il fado all’ombra del ponte Louis I. 
 Sono decisamente una creatura da Porto.
Non poteva mancarmi la passeggiata alla Ribeira. Si cammina in appena una ventina di minuti, e decisamente, in una serata meno fredda, merita una cena sul fiume, a guardarsi i colori del quartiere illuminato dai lampioni. Come Lisbona, Porto offre tanti Miradouro, terrazze disegnate appositamente, a mio avviso, per godersi i panorami. Ecco la vista dal Miradouro da Rua das Aldas. E, no, non so fare le foto, ma amo tanto i panorami notturni. Migliorerò? Dubito, ma staremo a vedere.
Sparse per la città ho trovato cabine come questa. Sul momento mi sono chiesta chi avrei voluto chiamare. Ripensandoci, quel telefono probabilmente chiama nel passato, non nel presente. Con un po` di fortuna, fai LA chiamata, chiami la te di un paio di vite fa. 
Le dici di sedersi un attimo. 
Le dici di fare un profondo respiro. 
E le spieghi. 
Magari capisce, magari no, ma almeno, le daresti una possibilità. O, quantomeno, chiarezza. 
E voi? Vi chiamereste? Se sì, quando, e che vi direste?
Alla prossima, Porto.

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